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Se mi racconti, mi sento

13 febbraio 2012

Francisco Hayez, Ulisse alla corte dei Feaci

 

“In una delle scene più belle dell’Odissea, Ulisse siede come ospite alla corte dei Feaci, in incognito. Un aedo cieco intrattiene col suo canto i convitati. Egli canta ‘gesta di eroi, una storia la cui fama giungeva allora al cielo infinito’. Canta della guerra di Troia, narra di Ulisse, delle sue imprese. E Ulisse, nascondendosi il volto nel gran mantello purpureo, piange. ‘Non aveva mai pianto prima’ commenta Hannah Arendt, ‘certo non quando i fatti che ora si sente narrare erano realmente accaduti. Soltanto ascoltando il racconto egli acquista piena nozione del suo significato’. Chiameremo questa scena il paradosso di Ulisse. Come già succedeva per Edipo, esso consiste nella situazione in cui qualcuno riceve la propria storia dalla narrazione altrui. Così accade appunto a Ulisse presso i Feaci. Il quale piange perché acquista piena nozione del significato del racconto.

A. Cavarero, Tu che mi guardi, tu che mi racconti, cit. da Daniella Iannotta in La comunicazione tra simbolo e immagine

Ascoltare qualcuno che ci racconta una storia – la nostra storia. Che ce la racconta a voce alta, che racconta noi a noi stessi: è un modo di nascere, un riconoscimento, la ratifica della propria esistenza.

Ulisse si riconosce in quel momento, e finalmente può abbandonarsi al pianto, perché si sente.

2 commenti leave one →
  1. 15 febbraio 2012 21:49

    El comentario me recuerda mucho la concepción que Heidegger tiene del lenguage:en la palabra poética las cosas son verdaderamente lo que son, es decir, se ponen de manifiesto, se muestran, como ningún “acontecimiento vivido” o “real” puede revelarlas.

    • 15 febbraio 2012 21:55

      La poesía es una palabra griega que significa “hacer”: el poeta es aquel que hace 🙂
      (Mi traducción es google, porque no sé español)

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