Qualcosa da raccontare
Qualcosa da raccontare
La prima volta che sentii parlare di lui, fotografo famoso, risale a molti anni fa, il pomeriggio che andai a trovare Rosetta*, a casa. L’avevo conosciuta per caso e non mi avevano nascosto la sua sofferenza, il male oscuro che colpisce gli esseri più fragili, di fronte al quale si rimane insopportabilmente impotenti. Abituata ad un lavoro di costanti relazioni, la pensione aveva solo accentuato la sua atavica malinconia.
Era bella Rosetta, bella e fragile. Ecco, quel pomeriggio che andai a trovarla fu felice di parlare con me. Suo marito mi regalò un testo di novelle di Pirandello, lei invece prese a raccontarmi cose di gioventù, illuminando visibilmente la sua bellezza concreta.
Aveva preso un catalogo dalla libreria, sul quale mi fece vedere delle fotografie.
Sulle immagini stampate erano rimasti eterni luoghi e storie umane del suo passato, circoscritti nel mirino del suo caro compagno di scuola, il fotografo oramai molto conosciuto. Riannodare i fili col tempo ben accetto della sua vita aveva avuto, probabilmente, la stessa funzione degli specchi orientati bene, in cui ci si riconosce senza fuggire.
Quel pomeriggio la depressione era stata confinata. Il potente farmaco della memoria aveva restituito a Rosetta un sorriso vero.
*Nome di fantasia